L’ipofosfatasia è una malattia definita rara, anzi ultrarara perché, secondo gli studi, si manifesterebbe in 1 caso su 300.000. Presenta una riduzione dell’enzima della fosfatasi alcalina non specifica, che si manifesta con un difetto di mineralizzazione dell’osso e dei denti. In realtà, indagini recenti sembrano suggerire che l’ipofosfatasia sia molto più diffusa di quanto si pensi: la sua incidenza potrebbe addirittura arrivare a un caso su 5/6000, visto che molte varianti si presentano con sintomatologie diverse e non facilmente riconoscibili. Così, se le forme neonatali, gravissime, sono diagnosticate già nel neonato, altre forme sono riconosciute spesso in ritardo, a volte mai. Per la sua rarità, diventa quindi importante sollecitare l’attenzione dei Medici di Medicina Generale su questa patologia. Questi gli obiettivi del seminario-on line tenuto il 14 maggio 2021 dalla Professoressa Maria Luisa Brandi, Presidente della Fondazione FIRMO (Fondazione per la Ricerca sulle Malattie dell’Osso) e di OFF (Osservatorio Fratture da Fragilità).
Il seminario ha offerto la possibilità di ascoltare dalla viva voce dei pazienti le loro testimonianze, con il commento dalla Professoressa Brandi: Lidia, nel ripercorrere la sua storia, racconta come il farmaco sperimentale l’avesse fatta stare meglio, ma che dal 2020 non riesce più ad averlo; Sandra, abituata a lavorare duramente, dice che ora non può più farlo, ma non riesce nemmeno a vedersi riconosciuta una pensione di invalidità; Luisa lamenta la mancanza di aiuti e la scarsa lungimiranza di un sistema sanitario che non si preoccupa che chi sta già male sia aiutato a non peggiorare.
Luisa è anche presidente di API (Associazione Pazienti Ipofosfatasia), un’intraprendente associazione, nata di recente, che ha lo scopo di aiutare chi soffre di questa patologia, diffondere la sua conoscenza e aiutare così ad aprire la strada per la diffusione del farmaco. Infatti, come ricorda la Professoressa Brandi, relativamente a questa patologia la situazione è ambigua: in parte fortunata, perché esiste una terapia, che però non è facile da ottenere nel nostro Paese, in quanto al momento è riservata solo ai bambini con sintomi gravi.
Sempre la professoressa Brandi conclude: “Il Medico di Medicina Generale deve essere in grado non solo di conoscere l’ipofosfatasia, ma anche di agire correttamente per contrastarla: non è mai troppo tardi per intervenire farmacologicamente. Oggi non facciamo abbastanza diagnosi e abbiamo una terapia, ma non curiamo abbastanza. Uno dei primi passi dell’associazione di pazienti API sarà quello si scrivere un libro bianco su questa patologia. Come medici dobbiamo accompagnare e sostenere il cammino delle associazioni dei pazienti, perché possono fare la differenza far cambiare le posizioni dei decisori: questo cammino vogliamo farlo a fianco dei nostri pazienti.”